Stratigrafia del Triassico - seconda parte


I GRANDI VULCANI

    L'alto tasso di subsidenza che caratterizzò la fine dell'Anisico e buona parte del Ladinico fu il preludio di un nuovo episodio magmatico dopo quello permiano che almeno 30 milioni di anni prima aveva messo in posto il piastrone porfirico, lo zoccolo che sta alla base della successione sedimentaria permo-triassica. Non si conoscono con esattezza le cause che accelerarono la subsidenza e provocarono la fusione parziale delle rocce del mantello. Il chimismo dei magmi triassici, definito dalle proporzioni tra gli elementi chimici presenti nelle rocce magmatiche da essi derivate, indica un processo di subduzione di crosta oceanica, come quello che attualmente avviene sotto il continente sudamericano in corrispondenza delle Ande, ma per questo indizio c'è anche una spiegazione alternativa che suppone una contaminazione precedente. Lo scenario geodinamico che precede e segue l'evento magmatico sembrerebbe invece caratterizzato da una lunga fase di distensione e assottigliamento della crosta (rifting), tuttavia vi sono delle incongruenze che contribuiscono a rendere il quadro piuttosto incerto.

   Le prime manifestazioni magmatiche di superficie furono di tipo esplosivo, poiché nella loro la risalita le lave ad altissima temperatura incontrarono l'acqua che permeava le masse rocciose fratturate del fondale marino, producendo quasi istantaneamente grandi quantità di vapore. In tutta la valle sono frequenti i cosiddetti diatremi, condotti vulcanici riempiti da brecce di esplosione costituite da frammenti (clasti) di varie litologie inglobati in una matrice di origine vulcanica. Queste rocce ricordano nell'aspetto il Caotico eterogeneo, una formazione che si trova all'interno della serie vulcanica e che mostra caratteristiche simili, tranne che per la dimensione dei clasti che spesso sono anche molto grandi. Le brecce e megabrecce del Caotico eterogeneo sembra però non abbiano origine da esplosioni, ma da fenomeni di tipo gravitativo (frane sottomarine indotte dalla tettonica contemporanea all'attività vulcanica).



     

La scarpata dei Maerins ricoperta dalle vulcaniti triassiche.


    Dalle lave eruttate sotto il mare derivano in genere tre diversi litotipi: accumuli di elementi globosi detti cuscini (pillowlave), brecce formate dai clasti prodotti dall'esplosione dei cuscini e poi legati insieme da una matrice fine di uguale provenienza (pillowbrecce), brecciole di minuti frammenti con una rilevante componente vetrosa (ialoclastiti).

   Una parte del magma raggiunse la superficie attraversando le piattaforme e diede origine a colate subaeree, scorie bollose e livelli di piroclastiti, ossia accumuli di lapilli, ceneri e detriti risedimentati. Le lave solidificarono anche all'interno delle fratture e si incunearono fra strato e strato, andando a formare dicchi intrusivi e filoni strato. Come si può immaginare la pila di vulcaniti che riempì gli antichi bacini tra le piattaforme, in parte ricoprendole, ha un aspetto alquanto eterogeneo. In base alla composizione mineralogica le rocce sono classificate come latiti, andesiti e basalti. La tessitura è generalmente di tipo porfirico, con fenocristalli di plagioclasio e pirosseno augitico. Su frattura recente la superficie è di colore nero uniforme, ma in seguito all'alterazione chimica cui queste rocce vanno incontro rapidamente non essendo in equilibrio con l'ambiente superficiale, i diversi minerali assumono colori tra loro contrastanti; nel complesso la roccia tende a schiarire.




 

La successione vulcanica, ricoperta dalla vegetazione, poggia in onlap contro le ripide scarpate del Catinaccio, alla testata della Val Duron.


   Oltre a queste manifestazioni diffuse, almeno due grandi edifici vulcanici si formarono in corrispondenza dell'allineamento: Marmolada, Costabella, Monzoni, Viezzena, Passo Feudo. Su questa linea si presentano varie situazioni che evidenziano spostamenti relativi di diverso tipo tra i due lati delle discontinuità presenti. Si tratta di un sistema di faglie complesso, esteso in profondità, che permise la risalita del magma e la messa in posto delle camere che alimentavano il vulcano fassano e quello di Predazzo, camere magmatiche che oggi spuntano in superficie e si identificano con il corpo intrusivo dei Monzoni e l'anello di rocce granitiche che circonda il paese di Predazzo. Tra le rocce intrusive prevalgono monzoniti, monzodioriti e monzogabbri equivalenti rispettivamente alle corrispondenti effusive denominate latiti, andesiti e basalti, ma essendosi raffreddate lentamente in profondità hanno potuto sviluppare una tessitura granulare in cui tutti i cristalli sono abbastanza grandi per essere visibili ad occhio nudo. Le rocce rosa di Predazzo sono invece graniti alcalini e sieniti prodotti da processi di differenziazione magmatica, rocce residuali ottenute per cristallizzazione frazionata e relegate nella parte più alta della camera magmatica. 




 

Schema raffigurante l'ubicazione più probabile dei due edifici vulcanici medio-triassici e la distribuzione dei dicchi magmatici.


   Lo svuotamento delle camere magmatiche produsse anche sprofondamenti calderici, come quello incentrato nella zona di Canazei dove l'accumulo di materiali di origine vulcanica raggiunge spessori elevatissimi. Anche il vulcano di Predazzo collassò sprofondando nella camera sottostante, infatti le porfiriti che riempivano il camino sono ora circondate da un anello di rocce intrusive. L'altro edificio emerso, quello precedentemente sorto in Val di Fassa, venne invece completamente demolito e i detriti sparsi tutto intorno. I prodotti dello smantellamento seguono una distribuzione regolare irradiandosi dall'area di origine con granulometria decrescente: i depositi prossimali più grossolani prendono il nome di Conglomerato della Marmolada, mentre quelli distali più fini costituiscono la Formazione di Wengen





LA RINASCITA DELL’ARCIPELAGO

    L'attività vulcanica e gli sconvolgimenti tettonici ad essa associati crearono un ambiente inospitale che arrestò la crescita delle piattaforme e decretò la morte della maggioranza degli organismi biocostruttori. Una parte di essi riuscì però a sopravvivere e una volta ripristinatesi le condizioni favorevoli ripopolarono rapidamente gli alti morfologici rappresentati stavolta dai resti delle vecchie piattaforme ladiniche e dai nuovi rilievi di origine vulcanica o tettonica, complice anche una fase di abbassamento generalizzato del livello marino. La ripresa dell'attività biologica si verificò già nel Ladinico terminale e i sedimenti carbonatici prodotti in questo contesto si mischiarono con i detriti dello smantellamento degli edifici vulcanici contribuendo alla deposizione della Formazione di Wengen. In questo periodo una piccola piattaforma si accrebbe tra Catinaccio e Sciliar e il litotipo che la rappresenta è la Dolomia di Rosszähne. In seguito i fenomeni vulcanici si esaurirono del tutto lasciando via libera allo sviluppo delle piattaforme di Dolomia cassiana riferite in gran parte al Carnico iniziale.

   Ciò che permette di distinguere con facilità le piattaforme anisico-ladiniche dalle carniche sono i sedimenti bacinali che si interdigitano con esse, rispettivamente la Formazione di Buchenstein/Livinallongo e la Formazione di San Cassiano. Quest'ultima è una successione incoerente di sequenze torbiditiche che alterna arenarie vulcanoclastiche, peliti, marne e carbonati; gli strati carbonatici sono costituiti da calcareniti bioclastiche, calcari micritici e calcari marnosi. I livelli più grossolani sono gradati e i calcari formano strati compatti, da centimetrici a decimetrici, che risaltano anche per il colore più chiaro. In vicinanza delle piattaforme è facile trovare all'interno di questa formazione grossi blocchi franati dall'alto, i cosiddetti Calcari di Cipit, Nelle piattaforme cassiane la tendenza a progradare lateralmente prevale sulla crescita verticale a causa di un rallentamento del generale tasso di subsidenza. Di conseguenza i bacini finirono per chiudersi e vennero colmati dall'abbondante apporto di sedimenti. La Formazione di San Cassiano è famosa per la ricchezza di fossili che sono però in genere di piccole dimensioni. Come nel caso della Formazione di Werfen la presenza di fossili è dovuta all'improvviso e repentino seppellimento degli organismi sotto strati di materiale fine, questa volta prodotti da frequenti frane sottomarine




L'aspetto flyschoide della Formazione di San Cassiano.

   Le piattaforme cassiane sono rappresentate nel Sassolungo e nel Sella. Il gruppo del Sassolungo è impostato sui resti di una preesistente piattaforma ladinica la cui configurazione originale ci è sconosciuta. La base della montagna è inoltre traslata verso nord rispetto alla sua posizione iniziale. La piattaforma sub-circolare simile ad un atollo che costituisce la parte inferiore del massiccio del Sella ricopre corpi detritici canalizzati che provengono dalla stessa area dove ora si trova il Sassolungo e che sono forse accumuli di frana. Anche il masso calcareo in facies di slope sulla sommità del Col Rodella è privo di qualsiasi legame con le strutture che lo circondano, salvo il fatto che il piede della piattaforma sembra continuare lungo la cresta di Salei dove la coeva Formazione di Buchenstein/Livinallongo ricopre direttamente il Membro di Campill della Formazione di Werfen.



Le piattaforme cassiane del Sassolungo e del Sella


    Esiste una linea di demarcazione abbastanza netta che separa i paesaggi marini fossilizzati dove campeggiano le piattaforme di prima generazione, a sud, da tutto ciò che venne a crearsi successivamente nel tardo Ladinico e nel Carnico e che rimane confinato nel settore più settentrionale, in posizione ribassata al centro del sinclinorio dolomitico. Essa divide il territorio in due parti: una tormentata dalla tettonica e dal vulcanesimo, dove l'assetto originario della stratigrafia è a volte completamente stravolto, e l'altra che rispecchia invece un periodo geologico di relativa tranquillità che si riflette nella giacitura pressoché tabulare delle formazioni rocciose.
Questa linea immaginaria nasce dai Denti di Terrarossa, prosegue poi lungo la Cresta di Siusi fino al Jouf de Fascia dove, nei pressi del Rifugio Sasso Piatto, il limite Ladino-Carnico si materializza fisicamente con la comparsa della Formazione di San Cassiano. L'intervallo di transizione dal Wengen al San Cassiano è osservabile invece circa a metà altezza del pendio franoso ai piedi di Punta Grohmann: il dissesto evidenzia appunto queste due formazioni rocciose potenzialmente instabili. Poi il limite stratigrafico prosegue verso il Passo Sella e Pian de Schiavaneis, da dove piega verso Col dei Rossi e la cresta del Padon. Nell'ultimo tratto il San Cassiano poggia sul Conglomerato della Marmolada, una facies eteropica del Wengen. Il San Cassiano giace invece in eteropia laterale con la Dolomia cassiana e si trova al tetto del cuneo dei depositi sedimentari tardo-ladinici, i quali raggiungono il massimo spessore nella zona Canazei-Fedaia e si assottigliano gradualmente in direzione ovest pur persistendo fino all'area lombarda. Il cuneo poggia su una base piuttosto eterogenea, per via della natura stessa delle formazioni vulcano-sedimentarie deposte in precedenza, ma anche a motivo alle dislocazioni tettoniche già descritte che si concentrano soprattutto nell'area del Col Rodella. 




IL LIVELLAMENTO DEL TERRITORIO

   Nel Carnico superiore gli spazi ancora liberi tra le piattaforme cassiane furono riempiti dai sedimenti misti della Formazione di Heiligkreuz (già Dolomia o F. di Dürrenstein) e il tutto, piattaforme comprese, fu poi ricoperto dagli strati terrigeno-carbonatici della Formazione di Travenanzes (già Formazione di Raibl - entrambe possono essere considerate facenti parte di un'unità di rango superiore chiamata: Gruppo di Raibl)). Per la verità queste unità sono ben rappresentate solo nelle Dolomiti orientali, per esempio al Passo Falzarego per citare una località vicina, dove entrambe affiorano estesamente. In Val di Fassa troviamo alcuni lembi residui del Travenanzes sulle cime più alte del Gruppo del Sassolungo e tra la Dolomia cassiana e la sovrastante Dolomia principale sulla vistosa cengia che gira tutto intorno al Gruppo del Sella. Sono rocce facilmente erodibili, che alternano peliti e marne varicolori a dolomie a grana fine (afanitiche) chiare. L'ambiente di deposizione esprime la transizione tra un'area costiera emersa a sud e il mare aperto a nord-nordest. La sedimentazione di tipo paralico vede cioè il ciclico alternarsi di ambienti continentali, caratterizzati da depositi fluviali detritici (silicoclastici), e facies lagunari oppure tipicamente marine in cui prevalgono i carbonati e talvolta i solfati. Responsabili di questa alternanza furono soprattutto i cambiamenti climatici che portarono lunghi periodi di forte piovosità in un'ambiente subtropicale generalmente caldo-arido.






Alla base le piattaforme di Dolomia cassiana, massiva, che passa lateralmente alla F. di San Cassiano. Le rocce gialline sulla cengia, che prosegue in prospettiva sulla Punta Grohmann nel Sassolungo, appartengono alla F. di Travenanzes. Sopra di esse la Dolomia Principale (Hauptdolomit), stratificata.


    Verso l'alto la Formazione di Travenanzes perde progressivamente la componente terrigena e passa gradualmente alla Dolomia principale, una monotona successione di strati metrici di dolomie biancastre uniformemente bioturbate, di ambiente subtidale, alternati a livelli intertidali con chiari segni di esposizione subaerea: pisoliti vadose, brecciole con intraclasti piatti, piccoli tepee, mud racks, lamine stromatolitiche. La sequenza di cicli peritidali, come viene definito questo stile deposizionale caratteristica del Carnico terminale, del Norico e del Retico, gli ultimi due piani del Triassico, si estende fino alla prima parte del Gruppo dei Calcari Grigi, riconoscibile per il passaggio a facies calcaree attraverso il Calcare di Dachstein. Oltre a persistere per un tempo lunghissimo (circa 30 Ma), l'ambiente deposizionale caratterizzato da lagune e piane di marea (tidal flats) si mantenne uniforme su un area vastissima, in cui la subsidenza variava però da luogo a luogo. Quella della Dolomia principale era una piattaforma carbonatica estesissima, un piastrone continuo la cui integrità fu intaccata solo dall'apertura di bacini intrapiattaforma, documentati nell'area lombarda e in quella friulana, che ricopriva un territorio immenso con spessori variabili determinati dal tasso di subsidenza locale: circa mille metri in certe zone e solo qualche centinaio sul Sella, in quanto parte di un'area resa più stabile di altre dalle intrusioni magmatiche permiane e medio-triassiche. Di essa rimangono ormai solo lembi isolati: oltre che nel Gruppo del Sella, sull'altopiano dello Sciliar e sulla Gardenaccia, si trova però in tutte le Dolomiti orientali, nelle Dolomiti di Brenta, sparsa qua e là in tutto il Trentino, in Lombardia, Veneto, Friuli fino alla Slovenia, dove sono state rinvenute facies di slope progradanti verso il mare aperto, e anche sull'Appennino centrale e meridionale. Fossili caratteristici sono le impronte e i modelli interni di molluschi bivalvi del genere Megalodon e Dicerocardium, il cui guscio uncinato permetteva a questi animali di ancorarsi al substrato fangoso e di opporsi all'azione delle correnti di marea.