Stratigrafia del Triassico - prima parte


FORMAZIONE DI WERFEN
IL MARE BASSO DELL'INDUANO-OLENEKIANO (SCITICO) 

    All'inizio dell'Era Mesozoica il territorio delle future Dolomiti era sommerso dal mare, un mare poco profondo e in continua trasformazione nel quale la linea di costa si spostava avanti e indietro in modo cilico, alternando fasi di trasgressione in cui le acque invadevano la terraferma a fasi di regressione durante le quali i sedimenti portati dai fiumi andavano a colmare i bacini costieri. Tutto ciò è registrato nelle rocce della Formazione di Werfen, un pacco di strati piuttosto eterogeneo e perciò suddiviso in diversi membri. L'aspetto variegato della stratificazione riflette i frequenti cambiamenti dell'ambiente deposizionale che tuttavia mantiene nel complesso le sue caratteristiche principali: fondale basso e apporti terrigeni anche consistenti dalla terraferma. La natura pulsante degli apporti sedimentari e confermata dalla fitta stratificazione che caratterizza tutta la formazione.


  

    La Formazione di Werfen allo sbocco della Val Duron: il passaggio dal Membro di Siusi all'Oolite a gasteropodi.


    I materiali prevalenti sono argille, limo (silt), sabbie di colore grigio, giallo, rosso di diverse tonalità, che contengono tutti in quantità variabile minuscole lamelle di mica, un minerale a foglietti (fillosilicato) proveniente dai micascisti del basamento che venivano erosi da qualche area emersa nelle vicinanze. Le lamelle che brillano se colpite dalla luce sono un elemento distintivo di queste rocce. Al materiale detritico si associano fanghi calcarei micritici (calcite microcristallina) prodotti invece nel bacino di deposizione. Le rocce che derivano dalle possibili combinazioni tra questo tipo di sedimenti sono: calcari micritici (o dolomie secondarie), calcari marnosi, marne, marne calcaree, argilliti, siltiti, arenarie.

   Sebbene sia stata deposta immediatamente dopo una grande estinzione di massa questa formazione è tra le più fossilifere dell'intera successione dolomitica. Ciò è dovuto principalmente ai processi deposizionali che la caratterizzano. Flussi veloci di materiale solido fine riversatosi nel bacino in occasione di piene improvvise o stagionali, nel qual caso i sedimenti provenivano dalla terra ferma, oppure durante le tempeste quando invece il materiale veniva spostato dal mare aperto verso la costa. Si tratta comunque sempre di eventi quasi istantanei, tali da seppellire velocemente gli organismi o i resti biologici e impedirne o limitarne la decomposizione favorendone al contrario la mineralizzazione e la loro conservazione allo stato fossile. A soffrire della crisi di fine Permiano è soprattutto la biodiversità. Le superfici di strato talvolta contengono un numero grandissimo di individui della stesso tipo, di solito specie opportuniste che in questi casi vanno ad occupare con facilità gli ambienti lasciati liberi dalle specie più esigenti e sensibili ai fattori ambientali e quindi più vulnerabili.

   La base della formazione inizia con il passaggio dai calcari neri bituminosi del Bellerophon ai calcari oolitici del Membro di Tesero, il cui spessore è molto variabile, ma sempre modesto e a volte manca del tutto. Sparisce comunque il colore nero dato dal materiale organico indecomposto, forse per via della crisi biologica e forse invece perchè l'ambiente acquista energia rispetto alle acque stagnanti, povere di ossigeno, del periodo precedente. Le ooliti sono piccole palline di dimensioni sub-millimetriche, nucleate e accresciute in seguito al continuo movimento delle correnti all'interno di lagune costiere e poi magari trasportate anche più al largo.

   Il Membro di Mazzin, deposto in ambiente più tranquillo, è fatto invece di calcari, marne e siltiti di colore grigio chiaro che spesso mostrano screziature giallastre da alterazione verso i bordi delle lastre. Il contenuto fossilifero è molto scarso: qualche brachiopode e poche specie di molluschi bivalvi.

   Il Membro di Andraz indica una diminuzione di profondità fino ad un ambiente peritidale/intertidale. Sono dolomie marnose-siltose, laminate, varicolori, con strutture da disseccamento. Il calcare tende a trasformarsi in dolomia nelle zone dove le acque marine che permeano il sedimento si incontrano con quelle vadose provenienti dalle precipitazioni atmosferiche.

   Il Membro di Siusi rappresenta la parte più consistente della serie e contiene quasi tutte le litologie, calcari micritici, calcareniti, marne, siltiti, arenarie, in genere di colore grigio con livelli metrici rosso mattone nella parte alta. I fossili, più numerosi rispetto ai livelli precedenti, sono soprattutto bivalvi, tra i quali la specie Claraia clarai che è un fossile guida del Triassico inferiore. Sono comuni le strutture sedimentarie prodotte da processi fisici: tempestiti, hummocky cross-lamination, ripples da onda e mud cracks, oltre a resti e/o tracce indeterminati di dubbia interpretazione.

   Il Membro dell'Oolite a gasteropodi si distingue per gli strati decimetrici, compatti, di calcari oolitici di ambiente subtidale, i quali indicano una nuova trasgressione prima della regressione testimoniata dal Membro di Campil che conclude il terzo ciclo trasgressivo-regressivo. Il Campil è composto prevalentemente da siltiti e arenarie rosse, con strutture da carico, ripple marks, hummocky cross-lamination e tracce di ofiuroidi. Questo membro non è mai completo in Val di Fassa, dove la formazione di Werfen è troncata da una superficie erosiva che talvolta affonda fino all'Oolite a gasteropodi. I membri di Val Badia, Cencenighe e San Lucano sono rappresentati solo nei ciottoli multicolori costituenti un conglomerato fluviale noto come Conglomerato di Richthofen, prodotto dall'erosione in ambiente subaereo della parte superiore della formazione di Werfen.

   La Formazione di Werfen affiora in genere a mezza costa sui fianchi della valle. La stratificazione è disposta a reggipoggio sul versante destro della Valle di San Pellegrino, da dove immerge sotto la Costabella e la Vallaccia, poi riemerge al di là di questi rilievi carbonatici e si solleva con l'anticlinale del Passo San Nicolò per rituffarsi sotto il Buffaure e la dorsale del Padon. Invece dal Passo di Costalunga scende dolcemente e senza grandi ondulazioni verso Mazzin, Campestrin e Campitello fino allo sbocco della Val Duron. Da qui in avanti andrebbe a sparire definitivamente sotto le vulcaniti del Buffaure e del Padon, se non fosse per un complicato intreccio di linee tettoniche in virtù del quale ricompare a quote più alte sul versante di Borest iniziando dalla Val di Dona, nel Col Rodella fino a Gries, Salei e Pian de Frataces e al Passo Ombretta in Marmolada. 




FORMAZIONE DI CONTRIN
L'ANISICO, UN' ETÀ DI GRANDI CAMBIAMENTI

   Durante la prima parte dell'Anisico la trasgressione marina subì una battuta d'arresto. Il territorio delle valli di Fassa, Fiemme, Gardena, Badia e parte della valle del Cordevole emerse dal mare e finì per formare una grande isola dove torrenti dal letto mobile (braided river) divagavano sulle piane alluvionali e distribuivano i detriti prodotti dall'erosione della Formazione di Werfen. Le informazioni che abbiamo su questo periodo sono molto scarse poiché si basano più su ciò che manca nella successione stratigrafica piuttosto che su quel poco che invece si è conservato. Sappiamo che il massimo sollevamento si ebbe tra la Val Badia e la Val Gardena perchè qui l'erosione si spinse in profondità fino ad intaccare le rocce della Formazione a Bellerophon. Il territorio un po' alla volta fu di nuovo sommerso dal mare, ma nel frattempo la zona si popolò di animali terrestri che lasciarono orme e tracce del loro passaggio sui litorali fangosi o sulle sponde dei corsi d'acqua. Le impronte sono del tipo Rhynchosauroides e Chirotherium, nel primo caso gli autori erano animaletti simili a grosse lucertole, nel secondo si trattava di rettili più grandi, riconducibili agli antenati degli attuali coccodrilli.

   I sedimenti più grossolani si accumularono in corrispondenza degli alvei fluviali, talvolta con spessori plurimetrici (Conglomerato di Richthofen), mentre quelli più fini si distribuirono sulla piana esondabile per dare origine ad arenarie fini, siltiti e argilliti ricche di minerali di alterazione di colore rosso che testimoniano la presenza di un ambiente semidesertico, sub-tropicale, dal clima caldo arido come per le Arenarie di val Gardena. La riconquista del territorio da parte del mare avvenne stavolta in maniera più decisa, mancano infatti le facies evaporitiche connesse con il ristagno dell'acqua salata. Il Calcare di Morbiac (Strati a Dadocrinus gracilis, auct.) registra la transizione graduale, dalla base al tetto, da livelli argillosi-marnosi a calcari micritici di ambiente subtidale in strati decimetrici di colore grigio scuro su frattura fresca e giallastri in alterazione. Lo spessore di questa formazione è molto variabile, a volte solo qualche metro.

   Non erano ancora passati dieci milioni di anni dalla grande estinzione di massa verificatasi in corrispondenza del limite Permiano-Triassico, che la vita aveva già riconquistato quasi tutte le nicchie ambientali. Lungo la piattaforma continentale che bordava il golfo oceanico della Tetide nascevano in questo periodo le prime piattaforme carbonatiche legate alla ricomparsa di organismi biocostruttori. Mentre prima la sedimentazione era stata controllata essenzialmente da processi fisici, da qui in avanti la sfera biologica assunse il ruolo di protagonista, anche perché contestualmente gli apporti terrigeni si fecero irrilevanti e le acque limpide e il clima tropicale crearono l'ambiente ideale per la vita di organismi fotosintetici a scheletro calcareo. Questo significa che al posto di fanghi micritici di incerta origine, rimaneggiati dalle correnti e sparsi uniformemente su tutto il territorio, iniziarono a depositarsi consistenti quantità di resti scheletrici che cementarono rapidamente per formare solida roccia calcarea, dapprima a strati, poi in banchi compatti che costituivano veri e propri edifici rilevati, progradanti lateralmente sul fondale, le cosiddette piattaforme.

  La tettonica tardo-anisica trasformò poi il fondale marino, che finora aveva mantenuto una certa uniformità, e creò bacini profondi e alti strutturali separati tra loro da ripide scarpate di faglia. Sopra i Calcari di Morbiac possiamo infatti trovare sia le ripide pareti di bianchi calcari o dolomie saccaroidi scolpite nella Formazione del Contrin, che le rocce bituminose e fetide della Formazione di Moena accumulatesi sul fondo di bacini anossici che raccoglievano fanghiglie calcaree e resti organici in decomposizione. In corrispondenza delle antiche scarpate, di solito lungo i versanti dell'alta Val di Fassa, si rinvengono comunemente rocce brecciate fatte di frammenti spigolosi di bianco calcare immersi in una matrice grigia, in origine depositi di frana che raccordavano il bacino al bordo della piattaforma. In questo contesto iniziò a formarsi l'arcipelago tropicale le cui strutture rilevate, centinaia di milioni di anni più tardi, avrebbe dato forma ai gruppi montuosi del Latemar, del Catinaccio, dello Sciliar, della Marmolada e delle Pale di San Martino.

   La serie che comprende il Conglomerato di Richthofen, il Calcare di Morbiac, la Formazione di Contrin e la Formazione di Moena, segue la distribuzione della Formazione di Werfen descritta nella pagina precedente, posizionandosi ovviamente al tetto della medesima. Il bancone carbonatico del Contrin è piuttosto evidente alla base dei massicci dolomitici, dove conserva una discreta continuità e l'aspetto di una piattaforma tabulare, la sua identificazione richiede un po' più di immaginazione quando, come spesso accade, risulta invece frammentato e dislocato per cause tettoniche.




L' ARCIPELAGO TROPICALE LADINICO

    L'evoluzione dei processi sedimentari e la tettonica tardo anisica insieme crearono le condizioni ottimali per l'insediamento di grandi comunità di biocostruttori. Gli organismi popolarono le zone rilevate (alti morfologici); si trattava di grandi blocchi di roccia calcarea che si erano mantenuti a bassa profondità dopo la frammentazione e il parziale sprofondamento della piattaforma del Contrin. L'ambiente favorevole, il clima e l'accentuata subsidenza operarono in sinergia e in un tempo relativamente breve si accrebbero immensi edifici di calcare precipitato in conseguenza delle attività biologiche proprie di queste colonie di organismi. Rispetto alla modesta elevazione delle prime piattaforme anisiche, queste strutture mostrano un'enorme sviluppo verticale e raggiungono un'altezza di poco inferiore al migliaio di metri. il processo di estrazione del carbonato di calcio dall'acqua marina doveva essere molto efficiente. Il semplice accumulo di resti scheletrici non avrebbe potuto contrastare efficacemente la subsidenza per evitare l'annegamento delle piattaforme. Sono state avanzate diverse teorie circa il tipo di associazione biologica (carbonate factory) responsabile di questa elevatissima produttività, la più accreditata è quella che attesta il ruolo predominante di microrganismi, forse batteri, che sottraendo all'acqua la CO2 disciolta, necessaria per i loro processi metabolici, indussero la precipitazione fisica del carbonato. Questo si depositò in gran quantità sotto forma di cementi che legavano insieme granuli calcarei di rifiuto e frammenti scheletrici elaborati a scopo di difesa o sostegno da organismi superiori quali alghe, spugne, coralli, molluschi, ecc.


    

 L'immagine satellitare mostra ciò che rimane delle piattaforme carbonatiche ladiniche.


   Ogni singola piattaforma isolata possedeva un bordo o margine (reef) dove gli organismi di maggiori dimensioni erano ancorati al substrato e catturavano i nutrienti portati in superficie dalle correnti marine ascendenti (upwelling). La disponibilità di queste sostanze permetteva a tutta la comunità di proliferare e ne favoriva in grande misura la produttività. Dal reef i fanghi calcarei frammisti ad elementi più grossolani venivano riversati sia nella laguna interna, dove spesso si hanno sequenze cicliche di strati orizzontali alternativamente di ambiente subtidale e intertidale, sia verso il mare aperto lungo la scarpata (slope). Anche nelle rocce di scarpata dall'aspetto massivo si evidenzia una forma di sedimentazione ciclica che genera superfici di strato inclinate (clinostratificazioni). L'inclinazione generalmente approssima il normale angolo di riposo dei terreni granulari, 30-35°. In corrispondenza o in prossimità del reef la stratificazione è assente per via della proprietà del carbonato di cementare precocemente velocizzando il processo diagenetico. La natura pulsante o ciclica dei processi di deposizione e accumulo dei sedimenti durante la progradazione laterale delle piattaforme si rivela anche nell'interdigitazione con i sedimenti bacinali che alternativamente ricoprono o sono a loro volta ricoperti dai depositi di slope, a seconda che il tasso di sedimentazione prevalga in un senso o nell'altro. Le ragioni di questa ciclicità non sono del tutto chiare.




 Le diverse facies di piattaforma come si presentano sul versante settentrionale del Gran Vernel. L'inclinazione degli           strati è dovuta ad azioni tettoniche successive alla loro deposizione.


    In seguito molte di queste rocce in origine calcaree subirono un processo di dolomitizzazione, che consiste nella sostituzione metasomatica di una parte degli ioni calcio presenti nel reticolo cristallino del minerale calcite con ioni magnesio provenienti da soluzioni saline ricche in questo elemento. Le conoscenze che si hanno di questo fenomeno sono molto scarse, non è esattamente chiaro neppure il meccanismo che permise la dolomitizzazione pervasiva di tutto il volume di roccia. In pratica la calcite di cui era fatta la roccia calcarea si trasformò in un minerale diverso per composizione chimica, la dolomite, e a seconda del grado di trasformazione subita le rocce divennero di conseguenza: calcari dolomitici, dolomie calcaree oppure dolomie in senso stretto. Tutte insieme queste rocce vanno a costituire un'unità litostratigrafica a se stante denominata Dolomia dello Sciliar.

  La differenza macroscopica più evidente tra i due litotipi è data dal diverso comportamento dei due minerali nella reazione con l'acido cloridrico, un test comunemente utilizzato per il loro riconoscimento. Infatti la calcite reagisce istantaneamente sviluppando CO2 e producendo una vivace effervescenza, mentre la reazione della dolomite è molto più lenta, quasi impercettibile. Vi è inoltre anche una differenza di densità, in quanto la dolomite possiede un reticolo più compatto e, per mantenere lo stesso volume, la nuova roccia venutasi a creare doverebbe in teoria risultare più porosa. Tuttavia i pori a volte vengono riempiti di minerali secondari precipitati dai fluidi percolanti o che in altro modo si trovano ad attraversare gli ammassi rocciosi.

    Una importante conseguenza del processo di dolomitizzazione fu la sostanziale ricristallizzazione dei minerali costituenti le rocce, che cancellò quasi completamente le strutture sedimentarie che vi si trovavano, comprese le tracce fossili degli organismi. I rari fossili che ancora vi si rinvengono sono in genere mal conservati . Fortunatamente alcune piattaforme scamparono misteriosamente a questo processo diffuso di dolomitizzazione. Furono quelle a diretto contatto con i centri eruttivi che poco dopo la nascita dell'arcipelago anisico-ladinico riversarono nei bacini ingenti quantità di lave e materiali piroclastici fino ad arrestare la crescita delle piattaforme che in certi casi furono addirittura abbondantemente ricoperte dai materiali vulcanici. I gruppi montuosi rimasti ancora in facies calcarea sono il Latemar e la Marmolada, entrambi impostati lungo la direzione che vede allineate anche le maggiori manifestazioni del magmatismo medio-triassico nell'area di Fiemme e Fassa (Monte Agnello, Mulat, Viezzena, Monzoni, Buffaure, Padon). Ciò suggerisce la presenza di un lineamento tettonico profondo che in quel periodo doveva essere attivo per permettere la risalita dei magmi. Latemar e Marmolada sono le uniche piattaforme dove ancora si trovano giacimenti di fossili perfettamente conservati, soprattutto associazioni di gasteropodi e ammonoidi. Ciò che invece è andato perduto sono l'integrità e l'assetto strutturale originario di queste due piattaforme, smembrate e dislocate in seguito alla messa in posto di grandi corpi intrusivi e sciami di filoni.



     

 Panorama dell'arcipelago ladinico: le piattaforme sorgono ai lati del bacino anisico che si trovava al centro della foto.         Sullo sfondo la catena porfirica dei Lagorai, che corrisponde al fianco meridionale del sinclinorio dolomitico.


    Mentre sulle piattaforme accadeva tutto questo, in mare aperto una continua pioggia di minuscole particelle minerali di diversa natura accumulava molto lentamente sedimenti sul fondo marino, che si approfondiva sempre di più. Gusci calcarei e silicei di organismi planctonici, polveri atmosferiche trasportate del vento e particelle in sospensione trasportate al largo dalle correnti di torbida, decantavano sul fondale. Data la scarsità degli apporti sedimentari, gli straterelli della Formazione di Buchenstein/Livinallongo hanno uno spessore ridotto come tutta lunità nel suo complesso. Standardizzare le molteplici facies presenti un'operazione difficile. Gli strati calcarei sono prevalenti nelle aree e nei periodi di mare poco profondo. Essi hanno però spesso un aspetto nodulare e giunti ondulati dovuti entrambi alla parziale dissoluzione della calcite in acque fredde e relativamente profonde. Le croste silicee, i noduli e le liste di selce associati a calcari nodulari fortemente corrosi, indicano invece aree e periodi di profondità elevata. La matrice verde che lega questi componenti e talvolta forma strati omogenei (Pietra verde), è formata da ceneri vulcaniche provenienti da una zona remota esterna al bacino.