CAPITOLO 1


Dalle montagne al mare


1.1 - Il basamento metamorfico



           Alla base della successione dolomitica vi sono rocce di tipo metamorfico, i cosiddetti scisti cristallini. La loro presenza è riconducibile a un processo orogenetico che ha avuto luogo nel passato per la collisione tra due masse continentali provocata da movimenti convergenti delle placche tettoniche. Infatti i litotipi caratteristici del basamento metamorfico sono filladi, micascisti e gneiss, ovvero rocce che hanno subito fortissime pressioni in una direzione preferenziale e che per questo motivo hanno sviluppato una tessitura scistosa. La scistosità consiste nella capacità di sfaldarsi secondo piani paralleli che per le rocce metamorfiche è data dalla disposizione isorientata dei minerali di neoformazione. I tre tipi di roccia si distinguono tra loro per la composizione mineralogica, le dimensioni dei cristalli e per le peculiari strutture interne, ma hanno in comune alcune caratteristiche, tra le quali l'isorientazione dei componenti e l'abbondanza di minerali appartenenti al gruppo delle miche, fillosilicati caratterizzati da un abito cristallino tabulare o laminare. Il metamorfismo consiste nella graduale sostituzione dei minerali costituenti le rocce originarie con altri il cui reticolo cristallino meglio si adatta alle nuove condizioni di temperatura e pressione (blastesi). Quando le trasformazioni sono innescate dalle spinte tettoniche (pressione orientata) le miche risultano favorite rispetto ad altre specie mineralogiche. Nel caso invece di rocce soggette al solo carico litostatico, che in genere si trovano a grande profondità in condizioni di confinamento, cioè senza avere la possibilità di espandersi lateralmente, esse subiscono una pressione che tende ad agire uniformemente in tutte le direzioni. Questo tipo di sollecitazione, associata al calore che aumenta con la pressione e la profondità, può interferire con il volume unitario dei reticoli cristallini, i cui componenti tendono ad addensarsi o a espandersi, ma non influenza significativamente la simmetria, la forma, l'abito e l'orientazione dei cristalli come accade invece per le rocce scistose.

 a  b  c

Alcuni campioni di rocce tipiche del basamento: a) fillade, b) micascisto, c) gneiss.


           Ci si può chiedere a quale periodo geologico risalgono questi avvenimenti e quando si è svolto il processo metamorfico che ha trasformato queste rocce. Si può escludere che il metaforfismo del basamento sia da attribuire all'episodio più recente, cioè all'orogenesi alpina, sia perché le Alpi meridionali occupano una zona marginale della catena soggetta perciò a sollecitazioni non sufficientemente intense, sia perché le altre formazioni direttamente a contatto o poste nei livelli superiori non mostrano tracce di analoghi processi metamorfici. Anche in assenza di una conferma che può essere ottenuta dalle datazioni radiometriche, il fenomeno è ascrivibile senza dubbio all'orogenesi precedente, quella Ercinica (o Varisica), che ha avuto luogo in quel lontano periodo geologico chiamato Carbonifero che si colloca verso la fine dell'Era paleozoica, più di 300 milioni di anni fa. Le rocce originarie, un tempo diversificate per tipologia, tessitura e composizione e ora accomunate dal processo che le ha trasformate ovvero 'metamorfosate' dopo la loro formazione, sono ancora più antiche. A quel tempo le placche tettoniche in fase di convergenza avevano quasi completato il ciclo che si sarebbe concluso con la loro aggregazione nel supercontinente Pangea e i margini adiacenti degli antichi continenti erano suturati da catene di montagne. Gli scisti cristallini costituivano il nucleo profondo di una di queste catene montuose che a un certo punto fu sollevato fino in superficie ed esposto agli agenti erosivi. Infatti In alcune zone si rinvengono dei conglomerati i cui costituenti, più o meno arrotondati dal trasporto fluviale, provengono dall'erosione del substrato metamorfico (Conglomerato di Ponte Gardena). Essi rappresentano depositi di alveo o di conoide lasciati da torrenti montani o pedemontani, i quali solcavano il territorio che in futuro avrebbe ospitato le montagne dolomitiche.

Conglomerato di Ponte Gardena 3

Il Conglomerato di Ponte Gardena costituito da frammenti di quarzo e clasti dei litotipi precedenti.





1.2 - La struttura di fondazione



           In tutta l'area centrale della regione dolomitica, dove si trovano i caratteristici gruppi montuosi un tempo conosciuti come Monti Pallidi, le rocce metamorfiche del basamento sono sepolte al di sotto delle stratificazioni più recenti. Esse vengono alla luce solo a nord e a sud della regione e sono la parte basale di una struttura concava di cui Le Dolomiti occupano la zona centrale in posizione ribassata. Si tratta di una piega a scala regionale il cui asse è orientato in direzione WSW-ENE, con i margini esterni incurvati verso l'alto in modo da esporre in superficie gli scisti cristallini. A ovest della Marmolada, oltre al sollevamento prodotto dalla piega, tra basamento e rocce più recenti vi può essere uno scalino corrispondente al bordo di un'antica caldera di origine vulcanica di età permiana, la cui zona centrale è più volte collassata contestualmente alla fuoriuscita del magma. Assieme alle rocce del basamento affiorano in superficie anche le masse magmatiche consolidate in profondità e intruse al suo interno in concomitanza con le manifestazioni vulcaniche Permiane. Si tratta per l'area meridionale dei cosiddetti graniti di Cima d'Asta e a per quella settentrionale dei graniti di Bressanone.

           A sud l'affioramento più esteso del basamento va dall'alta Valsugana al Primiero, dove il complesso di rocce metamorfiche termina contro le formazioni permiane e triassiche su cui poggia il massiccio carbonatico delle Pale di San Martino. Infatti tutta la zona orientale delle Dolomiti, fino al Cadore, è ribassata da una faglia che dal Passo Rolle prosegue in direzione sud. Un lineamento tettonico regionale, la Linea della Valsugana, marca il limite meridionale della regione dolomitica e costituisce la rampa che nel Neogene ne consentì il sollevamento e lo scorrimento in direzione sud. Per linea o lineamento tettonico si intende un sistema di faglie che si muovono tutte nella stessa direzione e quando si tratta di faglie compressive (o inverse), come in questo caso, permettono alle falde di ricoprimento di accavallarsi una sull'altra. I movimenti che hanno interessato la regione delle Dolomiti si inseriscono nel contesto geodinamico collisionale connesso alla formazione e al sollevamento della catena alpina. Essi derivano in particolare dalle spinte di reazione esercitate in direzione sud nei livelli superiori del margine di placca adriatico che in questa zona si trova a scorrere verso nord sopra il continente europeo, incontrando la resistenza delle masse rocciose del dominio austroalpino già posizionate oltre il Lineamento Insubrico. Il piegamento a sinclinale della struttura su cui poggiano i gruppi montuosi delle Dolomiti risulta evidente in corrispondenza del fianco meridionale della piega, che corre lungo l'asse della Val di Fiemme. Qui le vulcaniti di età permiana del Gruppo Vulcanico Atesino (piastrone porfirico auct.), poggianti sul basamento e solidali con esso, si ergono sulla sinistra orografica nella catena del Lagorai, vergente a SSE, mentre oltre l'Avisio immergono sotto i sedimenti permo-triassici del versante opposto. Per quanto concerne l'area settentrionale, le rocce metamorfiche e i graniti di Bressanone vengono a giorno oltre la Val Gardena fino alla Val Pusteria. A nord la regione dolomitica termina contro il Lineamento Insubrico o Periadriatico, una linea tettonica verticale il cui movimento è prevalentemente trascorrente e che divide la catena alpina in due settori a vergenza opposta. Analogamente a quanto accade nella zona meridionale, in modo speculare rispetto ai Lagorai, sono ancora le Vulcaniti atesine nel Monte Rasciesa, sopra Ortisei in Val Gardena, a mettere in mostra il fianco settentrionale della piega.



La Valle di Fiemme e la catena del Lagorai. L'inclinazione dei porfidi permiani sulla destra segue grosso modo la stratificazione che immerge in direzione nord. Sulla sinistra parte della successione permo-triassica. Sullo sfondo le Pale di San Martino oltre la faglia del Rolle.




Il fianco settentrionale del sinclinorio dolomitico evidenziato dal vesante sud del Monte Rasciesa che appare sullo sfondo, in posizione inclinata, dietro il gruppo delle Odle. In primo piano l'altopiano dell'Alpe di Siusi.




Le Dolomiti viste dalla Mendola in direzione est-sudest. I gruppi dolomitici del Catinaccio e del Latemar (a sinistra) poggiano sullo zoccolo rigido costituito dalle rocce del Gruppo Vulcanico Atesino che appaiono lungo il fianco sinistro della valle dell'Adige tra Bolzano e Ora e anche in fondo, sulla destra, nella frastagliata catena del Lagorai.





1.3 - Il Gruppo Vulcanico Atesino



           Le intrusioni di Cima d'Asta e di Bressanone derivano dalla graduale e lenta cristallizzazione, nelle profondità della crosta terrestre, dei magmi ancora presenti all'interno delle camere magmatiche che alimentavano l'attività vulcanica di età permiana. A fasi alterne, con l'avvicendarsi di stadi parossistici e periodi di quiescenza, Il vulcanismo dominò il territorio delle future dolomiti per 10-15 milioni di anni e produsse una vasto complesso di rocce magmatiche di tipo effusivo, messe in posto perlopiù da eruzioni a carattere esplosivo, oggi noto come Gruppo Vulcanico Atesino. Questa è la denominazione più recente che sostituisce la precedente definizione di Piastrone Porfirico. I prodotti del vulcanismo permiano sono raccolti principalmente in una grande depressione delimitata da faglie normali del diametro di circa 60 km. Le rocce del Gruppo Vulcanico occupano attualmente una superficie di circa 2000 kmq, ma si stima che originariamente si estendessero per più di 5000 kmq, mentre lo spessore dell'unità nell'area centrale supera in alcune zone i 2000 m. Le Vulcaniti atesine si trovano in Val d'Adige da Merano a Lavis, in alta Val di Non, In Val Sarentino, Val d'Isarco fino oltre Chiusa e Ponte Gardena e in Val d'Ega. Nell'area orientale della caldera si estendono al di sotto dei principali gruppi dolomitici, approssimativamente fino alla Marmolada, e tra la Val di Funes e San Martino di Castrozza affiorano solo in modo discontinuo, in particolare al Passo San Pellegrino e al Passo Rolle. Tra il blocco settentrionale e quello meridionale, che comprende i Lagorai, l'altopiano di Piné, tutta la Val di Cembra e parte della Val di Fiemme, si inserisce la Linea di Trodena, una discontinuità tettonica che insieme ad altri disturbi di minore entità contribuisce a compensare il raccorciamento superficiale dovuto al piegamento della struttura rigida.



Estensione stimata della Caldera di Bolzano, comprese le aree attualmente ricoperte da rocce più recenti ed escluse invece quelle asportate dall'erosione dove ora affiorano le rocce del Basamento. Sono rappresentati i corpi magmatici intrusivi periferici correlati con l'attività vulcanica permiana, nonché le linee tettoniche che delimitano grosso modo l'intera regione dolomitica, comprese le Dolomiti di Brenta.


           La storia del gruppo vulcanico è articolata e complessa, come si può dedurre dalla sua vasta estensione territoriale e dall'ampio intervallo temporale in cui prende forma. La causa della fusione delle rocce profonde all'origine della risalita dei magmi è tuttora incerta, vi sono due possibilità che richiedono però entrambe una conferma. La prima presume la formazione un bacino di pull-apart generato in regime transtensivo, qualcosa di simile all'attuale bacino del Mar Morto, e la conseguente fusione parziale del mantello terrestre per decompressione. I movimenti trascorrenti responsabili del fenomeno sembra abbiano avuto luogo all'interno della Pangea proprio in corrispondenza della sutura ercinica tra Euroamerica e Gondwana e della parte più interna del golfo della Paleotetide. La seconda ipotesi prevede la nascita di un supervulcano a causa di una fonte di calore profonda e localizzata (hot spot). Questa seconda eventualità prende spunto da uno dei casi analoghi più recenti, la caldera di Yellowstone, nel Wyoming, la cui ultima eruzione risale a 640.000 anni fa.

 a

 b

Un campione di roccia granitica intrusiva di Cima d'Asta (a) e un suo corrispondente effusivo del Gruppo Vulcanico Atesino (b).


           La maggior parte delle Vulcaniti atesine sono rocce acide o ipersiliciche, che contengono una quantità percentuale di silice (SiO2) che eccede quella necessaria per formare i minerali silicati che le compongono (feldspati, miche, rari anfiboli e pirosseni) e perciò sono ricche di quarzo che è la forma cristallina stabile nelle condizioni superficiali del diossido di silicio. Molte delle rocce eruttate nelle fasi iniziali, che si sono conservate ai margini della caldera, hanno invece un chimismo basico-intermedio e nel complesso si osserva una tendenza evolutiva che vede la messa in posto nell'ordine di andesiti, daciti, riodaciti, rioliti, rocce effusive caratterizzate da un incremento del contenuto in silice nei minerali componenti fino a raggiungere un abbondante presenza di quarzo cristallino negli ultimi termini (porfidi quarziferi auct.). Di pari passo con l'aumento della concentrazione di silice nel magma aumenta anche la sua viscosità e quindi l'esplosività dei fenomeni vulcanici. Si va infatti dalle colate laviche nel periodo iniziale, quando il magma era relativamente fluido, alle piroclastiti da caduta e alle ignimbriti da flusso nella parte superiore del complesso, che tuttavia non sempre coincide con quella più alta per via dei ripetuti sprofondamenti della zona centrale della caldera. Queste variazioni della composizione e del comportamento possono essere attribuiti a processi di differenziazione magmatica dovuti alla cristallizzazione frazionata dei componenti femici oppure a una altrettanto probabile contaminazione crostale.

           Nei periodi di stasi dell'attività vulcanica si depositavano invece i prodotti dell'erosione delle vulcaniti e i materiali incoerenti rimaneggiati: tufi, conglomerati e arenarie nei quali sono stati rinvenuti resti fossili di organismi viventi tra cui il famoso rettile Tridentinosaurus antiquus, dall'aspetto simile a una lucertola e lungo circa 20 cm. Una sottile pellicola carboniosa, residuo della pelle e dei tessuti molli, riproduce le forme dell'animale impresse su una lastra di tufo proveniente dall'Altopiano di Piné e attualmente conservata presso il Museo di Paleontologia dell'Università di Padova. L'ambiente nel quale avvenivano questi fenomeni non doveva essere così terrificante come siamo abituati a pensare. Probabilmente tra un'eruzione e l'altra vi erano lunghi periodi di quiescienza come accade oggi per tutti i vulcani attivi conosciuti, durante i quali numerose forme di vita trovavano condizioni favorevoli al loro sviluppo. Forse l'attività vulcanica neppure si esplicava in tutto il territorio contemporaneamente e così queste forme di vita potevano migrare dalle zone inospitali verso altre più consone alle proprie esigenze per poi ricolonizzare velocemente le aree precedentemente abbandonate. Dieci e più milioni di anni sono un periodo lunghissimo mentre i pur numerosi episodi eruttivi, anche i più imponenti e distruttivi, si stima siano stati anche in passato di breve durata, cioè dell'ordine di giorni, mesi o al massimo anni.



Forme globose, a cupola, nelle vulcaniti atesine lungo la strada di fondovalle tra Cavalese e Castello di Fiemme.


           In sintesi la storia dell'attività magmatica di superficie può essere così riassunta. Dopo i primi veri vulcani localizzati, caratterizzati da un apparato eruttivo centrale e la classica forma a cono, sicuramente presenti nella fase iniziale, si ebbe la prima grande eruzione esplosiva di tipo fissurale che mise in posto l'ignimbrite riodacitica della Formazione di Gargazzone. Ad essa seguirono altri fenomeni: la messa in posto di corpi intrusivi subvulcanici all'interno delle fessure, il sollevamento di duomi risorgenti, i primi grandi collassi calderici e una serie di eruzioni minori di tipo lavico e piroclastico. Con il passare del tempo l'attività divenne di nuovo prevalentemente esplosiva, di tipo fissurale, e si spostò al centro della caldera per concludersi con la messa in posto dell'ignimbrite riolitica della Formazione di Ora. L'eruzione di Ora avvenne contemporaneamente allo svuotamento della camera magmatica e allo sprofondamento della parte centrale dell'antica caldera per un diametro di circa 40 km. Questa formazione, essendo la più recente di tutto il complesso, ricopre gran parte di quelle precedenti con uno spessore che supera i mille metri nella zona centrale e si riduce a poche decine di metri oltre il bordo dell'area collassata.



Il Monte di Mezzo a sud di Bolzano. Le ignimbriti della Formazione di Ora poggiano su un rilievo porfirico di rocce più antiche, scampato al collasso calderico che ha interessato invece le aree circostanti.


           Le ignimbriti sono rocce prodotte dalle cosiddette colate piroclastiche o nubi ardenti, flussi ad altissima velocità e temperatura della consistenza di un gas denso frammisto a cenere, vetro, cristalli e loro frammenti, brandelli di lava e pezzi di roccia strappati dal condotto eruttivo. A differenza delle piroclastiti da caduta o tufi che ricoprono il terreno con spessori uniformi le ignimbriti, come tutti i flussi prevalentemente orizzontali, tendono invece a livellare il territorio.

 a

 b

 c

 d

a) Distribuzione uniforme dei cristalli nelle ignimbriti della Formazione di Ora.
b) Brandelli di lava e piroclasti (riconoscibili per la maggiore dimensione dei cristalli) tutti orientati con l'asse maggiore nella direzione del flusso.
c) Spruzzi provocati dalla caduta di un lapillo nella massa ancora fluida.
d) Xenolite proveniente dalla parete del condotto, arrotondato per parziale riassorbimento nella massa fusa, eruttato e inglobato nell'ignimbrite.



           Tutte le rocce del gruppo, lave, piroclastiti da caduta e ignimbriti, hanno colorazione dai toni violacei, rossastri, grigio o marrone e presentano la caratteristica tessitura porfirica. Si tratta di una conformazione in cui i componenti della roccia hanno dimensioni diverse tra loro, grandi cristalli visibili ad occhio nudo sono immersi in una pasta di fondo omogenea che al microscopio si rivela essere formata da microcristalli e vetro, dovuti alla rapida solidificazione del magma che ne ha impedito l'accrescimento e addirittura la possibilità di formare dei nuclei cristallini. I cristalli visibili (fenocristalli) al momento dell'eruzione si erano invece già formati e accresciuti nella massa fusa. Nelle ignimbriti, che sono rocce molto compatte e relativamente omogenee, la frazione cristallina oltre ad essere molto abbondante si presenta piu regolare, la dimensione dei cristalli è minore ma più uniforme e questa omogeneità associata allo schock termico causato dal rapido raffreddamento dell'intera massa è responsabile della fratturazione regolare e pervasiva di queste rocce (fessurazione colonnare) o della loro fissilità intesa come capacità di essere suddivise in lastre che ne facilita l'estrazione e la lavorazione. Un altro motivo che favorisce l'impiego diffuso in edilizia e nelle pavimentazioni stradali di questa roccia chiamata comunemente porfido è la sua grande resistenza data dal forte legame tra i suoi componenti elementari saldati tra loro per la presenza di un abbondante frazione vetrosa, mentre le normali piroclastiti o tufi sono rocce leggere consolidate prevalentemente per cementazione.




Una cava di porfido in Val di Cembra.








1.4 - Geodinamica e ricostruzioni paleogeografiche



           Oltre che in base alla componente mineralogica, le rocce del Gruppo Vulcanico Atesino e le loro corrispondenti intrusive, ovvero i gabbri, le granodioriti e i graniti di Bressanone e di Cima d'Asta, sono state studiate sotto il profilo della composizione chimica totale, perché i rapporti tra le concentrazioni dei principali elementi chimici e l'abbondanza relativa di quelli più rari dipendono dai materiali di partenza e può essere indice del contesto geodimico nel quale si originarono i magmi. Gli esiti degli studi dimostrano per queste rocce un'affinità calcalcalina che normalmente è tipica di margini convergenti, una circostanza che però non trova riscontro nella paleogeografia dei luoghi. Nulla conferma la presenza nelle vicinanze di coeve catene montuose o archi vulcanici o altre tracce di subduzione crostale. L'ipotesi più plausibile è quindi quella di una contaminazione precedente del mantello, probabilmente al tempo in cui si formarono le montagne erciniche. L'evoluzione successiva suggerisce infatti una geodinamica di tipo distensivo. La tendenza dominante da qui in avanti, almeno per i successivi 130 milioni di anni, sarà lo stiramento e il lento sprofondamento della crosta testimoniato da una subsidenza praticamente continua, anche se con tassi variabili, che permetterà l'accumularsi di una pila di circa 2000 m di rocce sedimentarie e vulcaniche e la graduale transizione dall'ambiente continentale pedemontano di fine Permiano all'ambiente marino di piattaforma continentale del Triassico e Giurassico iniziale e infine il collasso della cosiddetta Piattaforma di Trento in concomitanza con l'apertura dell'Oceano ligure-piemontese.

           Questa evoluzione vede però dei cambiamenti 'in corso d'opera', forse dovuti a rotazioni o trascorrenze nel movimento relativo delle placche litosferiche. Inizialmente si ha l'evidenza di una pianura pedemontana solcata da corsi d'acqua che declina dalla Lombardia al Friuli, verso il mare che si trova più a est; anche i fondali marini, in seguito, vanno approfondendosi in quella stessa direzione a testimoniare una trasgressione marina che procede da est verso ovest. Invece la configurazione finale del margine passivo in transizione alla crosta oceanica è data da una sequenza di horst e graben (Piattaforma friulana, Bacino bellunese, Piattaforma di Trento, Bacino lombardo...) che degrada da est verso ovest dove avviene l'apertura dell'Oceano ligure-piemontese.

Pangaea italiano

Le terre emerse raggruppate in un unico supercontinente alla fine del Permiano.



           Nel Permiano le ricostruzioni paleogeografiche collocano il territorio delle future Dolomiti sul margine esterno di una placca chiamata Adria, che per alcuni studiosi è un'estensione del blocco africano, che insieme al Sudamerica, Antartide, India e Australia fa parte del supercontinente Gondwana. Per altri si tratta invece di una microplacca a se stante posizionata nella parte più interna del golfo oceanico della Paleotetide. I movimenti relativi tra Gondwana e Laurasia (Nordamerica, Europa e Asia), tra i quali la Paleotetide si insinua per espandersi verso occidente, causeranno la subsidenza di Adria che con il tempo verrà completamente sommersa. Solo la complessità delle traiettorie può dare ragione del fatto che nonostante il mare inizialmente avanzi da est a ovest, l'oceano ligure-piemontese si aprirà invece a occidente delle future Dolomiti, salvo poi richiudersi per permettere l'apertura dell'Oceano Atlantico. La crosta oceanica prodotta in questo primo tentativo di lacerazione andrà in subduzione sotto la placca adriatica durante l'avvicinamento e la successiva collisione di Adria con il continente europeo che provocherà la formazione e il sollevamento della catena alpina a partire dal Cretacico medio. Dei frammenti di crosta oceanica si sono però conservati e sono ora inglobati in alcune aree delle Alpi e dell'Appennino centro-settentrionale e costituiscono le rocce scure, ricche di minerali femici spesso serpentinizzati, denominate ofioliti.

           Il magmatismo del gruppo atesino e i fenomeni coevi di minore entità che si riscontrano in altre zone delle Alpi meridionali o Sudalpino, sia nel caso conseguano ai movimenti tettonici, sia che rientrino tra le cause che invece innescano il rifting e la separazione dei continenti, sono quindi il preludio all'instaurarsi di una nuova fase geodinamica globale che vede una riorganizzazione nell'assetto delle placche tettoniche e la frammentazione della Pangea che inizierà nel Mesozoico per proseguire fino ai giorni nostri. Rispetto alla sua posizione sul globo terrestre, la placca adriatica migrerà lentamente dall'equatore verso nord fino a raggiungere la latitidine attuale. Questo è uno dei fattori che condizionerà il clima dei vari ambienti deposizionali insieme alle variazioni globali della temperatura media terrestre che si stima siano oscillate in un range che va da -2 a circa +6 gradi centigradi rispetto alla temperatura media attuale. Nei prossimi paragrafi vedremo come sia possibile convalidare tutte queste supposizioni attraverso l'analisi della successione sedimentaria.





1.5 - Le Arenarie di Val Gardena



           Finora si è parlato di rocce cristalline, derivate dalla ricristallizzazione in solido di altre rocce o dal consolidamento di un fuso magmatico. Prima gli scisti cristallini, ovvero rocce di vario tipo soggette a una riorganizzazione dei loro componenti elementari che le ha trasformate in rocce metaforfiche, cioè in aggregati di cristalli di neoformazione. Poi le rocce magmatiche intrusive a tessitura olocristallina composte interamente di macrocristalli visibili a occhio nudo. Infine le rocce effusive a tessitura porfirica, ossia una mescolanza di macro e micro cristalli. In questo paragrafo fanno la loro comparsa le rocce sedimentarie detritiche, formate da frammenti litici, aggregati o singoli cristalli provenienti dalla disgregazione di altre rocce, compattati e cementati tra loro. Queste rocce si classificano in base alla classe granulometrica dei loro componenti. Un arenaria per esempio è una sabbia cementata i cui costituenti hanno dimensioni comprese tra 2 mm e 1/16 di mm e all'interno di questo range si possono fare ulteriori distinzioni tra arenarie o sabbie grossolane, medie e fini. Secondariamente si possono etichettare in base alla composizione mineralogica dei clasti o al tipo di cemento.



Arenarie di Val Gardena affioranti nei pressi di Soraga di Fassa (Rosse rosse).


           Le Arenarie di Val Gardena, che portano questo nome perché sono molto diffuse in quel territorio dove sono state descritte per la prima volta da Richthofen nel 1860, sono rocce stratificate a granulometria da grossolana a fine e non comprendono solo arenarie in senso stretto, ma anche livelli di siltiti, argilliti e marne, altre rocce sedimentarie in cui le dimensioni delle particelle scende rispettivamente al di sotto di 1/16 e 1/256 di mm. Le marne contengono anche una componente carbonatica fatta di calcare o dolomia e sono presenti soprattutto nei livelli sommitali, dove segnalano l'avvicinarsi dell'ambiente marino che prenderà il sopravvento di lì a poco. Nella parte basale invece si trovano a volte conglomerati o brecce derivati dalla cementazione di ghiaie e ciottoli, più o meno arrotondati, i cui elementi superano la dimensione di 2 mm (Conglomerato di Sesto, Breccia di Tarvisio auct.) I litotipi dominanti, che spesso si alternano tra loro, hanno colori nelle tonalità del rosso vinato, grigio-verdastro, più raramente giallastro, date dagli idrossidi ferrici contenuti, dalla loro deitratazione in ambiente continentale arido e dall'ossidazione del ferro in forma bivalente e soprattutto trivalente. Il colore rosso dell'ematite è prevalente in rocce di questo tipo (red beds) e questa caratteristica le rende facilmente riconoscibili in affioramento oltre a trovare risconti nella toponomastica (Le rosse, Cuecenes in ladino gardenese, ecc.). I minerali più abbondanti presenti nei grani delle arenarie sono quarzo e feldspati in quanto i detriti cementati provengono principalmente dall'erosione delle rocce del Gruppo Vulcanico Atesino e del Basamento scistoso cristallino, i minerali delle argille derivano invece dall'alterazione dei feldspati. Lo spessore della formazione è estremamente variabile poiché i sedimenti ricoprono un substrato irregolare, dalla morfologia accidentata, dove i rilievi si alternano alle zone depresse. La potenza media si aggira sui 150-200 m.

           Nello studio di una formazione sedimentaria, oltre alle caratteristiche intrinseche delle rocce, diventano prioritari l'ambiente e i processi deposizionali. In questo caso possiamo immaginare l'ambiente deposizionale come un territorio pedemontano drenato da corsi d'acqua effimeri, tipo wadi, dal clima arido o semiarido, che si estendeva in un'area compresa tra la Lombardia occidentale e le Karawanken, al confine tra Austria e Slovenia. La formazione designata ufficialmente Arenarie di Val Gardena occupa la parte che va dalle Giudicarie alla Carnia, mentre nelle zone più esterne viene definita con nomi diversi (Verrucano Lombardo, Grödner Formation). In generale a nord e soprattutto a occidente prevalgono i sedimenti della classe granulometrica maggiore e ciò lascia supporre che le montagne si trovassero da quella parte e il mare dall'altra. Questo fatto verrà confermato dagli eventi successivi. All'interno di questa formazione sono comuni le strutture sedimentarie tipiche del trasporto fluviale: stratificazioni e laminazioni incrociate, ripples da corrente, paleolvei e barre di meandro (point bars). Mancano però apparati deltizi il che suggerisce che i corsi d'acqua si esaurissero prima di giungere al mare. La piana alluvionale restituisce paleosuoli e altre tracce impresse nei fanghi e nei limi depositati per l'esondazione dei fiumi: poligoni di disseccamento (mud cracks), forme da impatto, orme di rettili. Il contenuto fossilifero è rappresentato da frequenti resti vegetali carboniosi indistinti, mentre sono invece rarissimi quelli ben conservati; tra questi spore, radici, porzioni di fusto, foglie e rametti di piante senza fiori, pteridofite e gimnosperme, rinvenuti in Alto Adige a Egna, al Bletterbach-Butterloch nel comune di Aldino e alle Cuecenes in Val Gardena. Numerose le orme lasciate dalle faune terrestri a tetrapodi del Bletterbach. Nella parte alta della formazione sono intercalati strati di ambiente lagunare (per es. il banco a cefalopodi del Bletterbach) dove compaiono invece molluschi marini, soprattutto nautiloidi e qualche bivalve. Più recenti sono i ritrovamenti di orme e resti vegetali nelle vicinanze di Trento e attorno ai passi dolomitici di San Pellegrino, Valles e Rolle, dove le Arenarie di Val Gardena affiorano diffusamente.
Per approfondimenti:

Conti Maria, Leonardi Giuseppe, Mariotti Nino, Nicosia Umberto. (1975). Tetrapod footprints, fishes and molluscs from the Middle Permian of the Dolomites (N. Italy). Memorie Geopaleontologiche. Memorie Geopaleontologiche dell'Università di Ferrara. 3. 139-150.

Marchetti Lorenzo, Voigt Sebastian, Klein Hendrik. (2019). Revision of Late Permian tetrapod tracks from the Dolomites (Trentino-Alto Adige, Italy). Historical Biology. 10.1080/08912963.2017.1391806.




Livello pelitico nelle Arenarie di Val Gardena con resti vegetali carbonificati.






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Capitolo 2

Il mare in espansione del tardo Permiano


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